Ehi tu, Alzheimer…. Chi sei?

Il lato “nascosto” della malattia

Le origini dell’Alzheimer

Cos’è la malattia di Alzheimer

La malattia di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa a decorso cronico e progressivo che determina alterazioni a carico della memoria, del comportamento, della capacità di pensiero e di svolgimento dei compiti più semplici.

Rappresenta la forma più comune di demenza nella popolazione anziana dei paesi ad alto reddito: si stima ne siano colpiti circa 55 milioni di persone, un valore che si prevede aumenterà a 82 milioni entro il 2030 fino a raggiungere 152 milioni entro il 2050 [1].

L’esordio di questa patologia è raro prima dei 65 anni mentre si accentua con l’avanzare dell’età. A livello mondiale, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) afferma che la malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza rappresentano la settima causa di morte a livello mondiale. In Italia circa 1 milione di persone sono affette da demenza e di questi 600 mila soffrono di Alzheimer.

Le “4 A” dell’Alzheimer

Sulla base dei principali sintomi, l’Alzheimer può essere definito come “malattia delle 4 A”. Le A rappresentano quanto segue: AMNESIA (perdita significativa di memoria), AFASIA (incapacità di formulare e comprendere messaggi di tipo verbale e scritto), AGNOSIA (incapacità di riconoscere persone, oggetti e luoghi) e APRASSIA (incapacità di compiere semplici movimenti volontari).

Le persone che manifestano la malattia di Alzheimer hanno spesso difficoltà a svolgere le attività quotidiane come guidare un’auto, cucinare un pasto o pagare le bollette; possono fare più volte la stessa domanda, perdersi facilmente e perdere oggetti. Al progredire della patologia, alcuni pazienti possono manifestare atteggiamenti aggressivi e violenti.

Cause dell’Alzheimer

La patologia di Alzheimer prende il nome dal neurologo tedesco Alois Alzheimer che nel 1906 diagnosticò la malattia ad una sua connazionale di 51 anni che manifestava perdita di memoria a breve termine, problemi di linguaggio e di comportamento. Da un’analisi cerebrale post-mortem, il neurologo notò la presenza di depositi anomali di proteine (ora conosciuti come placche amiloidi e grovigli neurofibrillari della proteina TAU) accompagnati da un’evidente atrofia della corteccia. La presenza di questi depositi proteici e la perdita di connessioni tra le cellule nervose (neuroni) sono ad oggi considerati le cause principali alla base dello sviluppo della patologia.

Al momento gli esperti ritengono che le cause della malattia non siano del tutto chiare e che all’origine della stessa ci sia una combinazione di vari fattori: familiarità genetica, fattori ambientali e stile di vita. Sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, questo insieme di fattori sembrerebbe alterare la conformazione di alcune proteine cerebrali determinando effetti tossici sul cervello stesso.

L’ipotesi più accreditata sembra coinvolgere il metabolismo della proteina precursore della β-amiloide (APP) che per ragioni ancora sconosciute porta alla formazione e all’accumulo, a livello cerebrale, di una sostanza neurotossica (il peptide β-amiloide) con conseguente morte neuronale progressiva.

Una seconda ipotesi attribuisce l’esordio precoce della malattia (circa il 13 % dei casi) a mutazioni genetiche ereditarie. L’insorgenza precoce (prima dei 40 anni) è legata a mutazioni geniche a carico delle seguenti proteine: presenilina 1, presenilina 2, APP e apolipoproteina E [2].

Meccanismi alla base della malattia

Fattori di rischio

Gli scienziati stanno ancora investigando cosa espone alcuni pazienti ad un rischio maggiore di sviluppare la malattia rispetto ad altri. Sebbene si conoscano alcuni dei fattori che influenzano l’esordio della patologia, probabilmente ne esistono altri che non sono stati ancora identificati. Tra le condizioni di rischio più conosciute ritroviamo: età avanzata (dopo i 65 anni la probabilità di sviluppo della patologia raddoppia ogni 5 anni), familiarità e predisposizione genetica (il rischio è maggiore quando un parente di primo grado è affetto dalla medesima malattia), sesso (le donne hanno una maggiore probabilità, dovuta a fattori ormonali, di sviluppare la patologia) e stile di vita (sedentarietà, sindrome metabolica e fumo) [3].

Prevenzione e Diagnosi

Anche se al giorno d’oggi non esiste una misura preventiva nei confronti dello sviluppo della patologia, alcune ricerche suggeriscono che certe abitudini possano aiutare a prevenirla. Tali abitudini comprendono: costante attività fisica ed appropriata stimolazione cognitiva, controllo periodico della pressione sanguigna, dei livelli di glicemia e colesterolo. Insieme queste strategie potrebbero apportare un miglioramento del benessere cerebrale e cognitivo.

Per diagnosticare in maniera adeguata la malattia di Alzheimer, il paziente viene sottoposto a test neuropsicologici ed esami cerebrali specifici quali la RMN (Risonanza Magnetica Nucleare) e la PET (Tomografia a emissione di positroni) [4].

SAGE test

Una diagnosi precoce dei primi segni di demenza renderebbe possibili interventi più rapidi ed efficaci. A tal proposito, l’università dell‘Ohio, ha realizzato un test cognitivo geriatrico autosomministrato conosciuto come “SAGE test”. Sottoporsi periodicamente al test aiuterà il proprio medico ad individuare prontamente i primi sintomi ed intervenire tempestivamente con le terapie adeguate [5].

Esistono 4 versioni del test SAGE. Le domande su ciascuna versione sono leggermente diverse. Non importa quale versione si sceglie, poiché sono tutte uguali in termini di difficoltà e quindi intercambiabili.

[1] Manafikhi R, Haik MB, Lahdo R, AlQuobaili F. Plasma amyloid β levels in Alzheimer’s disease and cognitively normal controls in Syrian population. Med J Islam Repub Iran. 2021 Feb 8;35:19

[2] Andrade-Guerrero J, Santiago-Balmaseda A, Jeronimo-Aguilar P, Vargas-Rodríguez I, Cadena-Suárez AR, Sánchez-Garibay C, Pozo-Molina G, Méndez-Catalá CF, Cardenas-Aguayo MD, Diaz-Cintra S, Pacheco-Herrero M, Luna-Muñoz J, Soto-Rojas LO. Alzheimer’s Disease: An Updated Overview of Its Genetics. Int J Mol Sci. 2023 Feb 13;24(4):3754

[3] A Armstrong R. Risk factors for Alzheimer’s disease. Folia Neuropathol. 2019;57(2):87-105

[4] Teipel S, Gustafson D, Ossenkoppele R, Hansson O, Babiloni C, Wagner M, Riedel-Heller SG, Kilimann I, Tang Y. Alzheimer Disease: Standard of Diagnosis, Treatment, Care, and Prevention. J Nucl Med. 2022 Jul;63(7):981-985

[5] https://wexnermedical.osu.edu/brain-spine-neuro/memory-disorders/sage

OMOMIND è un integratore alimentare a base di Omotaurina, Betaina, Vitamina B6, Quatrefolic, Vitamina B12 e Vitamina D3. Utile nel rallentare il declino cognitivo e gli stadi iniziali di demenza.

Si consiglia di assumere una bustina al giorno, dopo i pasti, da sciogliere in acqua.

  • Non contiene glutine

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  • Nessuna interazione farmacologica

  • Efficace sia in monoterapia che in associazione

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