Complotti e complottisti: la dark side dell’informazione

Autore: Prof. Daniele La Barbera

Quella calda notte del 21 luglio 1969 sono pochi gli anziani ancora svegli, sulle loro seggiole di legno paesane con la seduta impagliata, sul marciapiede davanti la porta finestra a persiane della loro casetta al pianterreno; i figli e i nipoti sono tutti davanti la televisione a bianco e nero a guardare avidamente i primi passi di Neil Armstrong, e dell’umanità intera, sulla Luna. Ma loro, gli anziani, sornioni, se la ridono sotto i baffi al pensiero dell’ingenuità con la quale i loro giovani parenti si stanno facendo abbindolare da una finzione così grossolana. Loro la luna la vedono direttamente nel cielo e sono sicuri che là sopra non c’è arrivato proprio nessuno. Questa scenetta che in quella notte lunare si è ripetuta, con poche varianti, in molte località della Sicilia, e chissà in quanti altri posti al mondo e che negli anni successivi rappresenterà la base di partenza per la teoria del finto allunaggio, fatta propria da milioni di persone, può essere considerata la madre di tutte le teorie complottiste della post-modernità contemporanea. Ma, allo stesso tempo, ci fornisce già alcuni elementi di un certo interesse per delineare una possibile “psicologia del complotto”. A cominciare subito dal fatto che, a volte, il complottista si aggancia, per così dire, a una piccola frazione di verità, a un minuscolo “slot” di verosimiglianza, che poi tende a generalizzare ed amplificare: in questo caso, come è stato ricostruito nel corso del tempo, era effettivamente stato girato un piccolo spezzone di film che riproduceva la scena dell’allunaggio in uno studio cinematografico, sotto la regia di Stanley Kubrick e con la partecipazione di tre agenti della CIA che impersonavano gli astronauti; ma questo “corto”, che era stato preparato dall’amministrazione Nixon come piano B in caso di insuccesso della missione Apollo 11, non fu mai usato e se ne sono perse le tracce. Ma la discesa sulla luna, trasmessa in diretta – entrambi due venti epocali: il primo ci introduce nell’era spaziale, il secondo nell’era della comunicazione – rappresenta una buona base di partenza per spiegare il complottismo perché contiene in sé qualcosa di potenzialmente destabilizzante per il nostro assetto cognitivo; infatti per quanto le immagini affascinanti della prima passeggiata lunare ci abbiano potuto entusiasmare, hanno contemporaneamente rappresentato una sorta di salto quantico dell’informazione e della conoscenza, ma anche una rivoluzione nel modo di rappresentarci il mondo e lo spazio fisico intorno a noi; che da quella notte di luglio si è enormemente dilatato. L’incertezza interpretativa, la tendenza a confezionare spiegazioni alternative a quelle ufficiali e istituzionali, l’inclinazione pregiudiziale a chiedersi sempre e comunque “cosa ci sta sotto”, il retropensiero di default su tutti i fatti significativi e di cui si parla molto, tutte caratteristiche del funzionamento mentale dei complottisti, sono dunque elementi che possiamo in parte collegare, nell’epoca attuale della comunicazione digitale, al sovraccarico informazionale e alla progressiva proliferazione di dati e notizie, molte delle quali richiedono tempo e pazienza per essere verificate e tracciate rispetto alle rispettive fonti. Pensiamo, solo per un attimo, a come sia diversa l’esperienza del mondo, la lettura della realtà e il vissuto relativo agli accadimenti della vita di natura collettiva, in un contadino del tardo medioevo e in un soggetto della contemporaneità post-moderna. Il primo aveva un numero di conoscenze umane dirette che si aggirava, durante tutta la sua vita, nell’ordine delle decine; e il raggio dei suoi spostamenti, rispetto al luogo abituale di residenza, non superava la decina di chilometri, tranne eventi eccezionali o l’esigenza impellente di migrare in territori vicini per ragioni di sopravvivenza. Le sue conoscenze erano stabili e durature, difficilmente aveva l’esigenza di interrogarsi se le notizie o le spiegazioni che gli venivano date erano vere o no, e qualora avesse necessità o piacere di farlo, i dati su cui ragionare erano veramente pochi. Inutile dire come l’abitante dei mondi digitali deve gestire una quantità di conoscenze, informazioni, vissuti ed esperienze assolutamente incessante e caotico, con una totale perdita di controllo sulle fonti e le origini di grande parte di questi dati; la complessità progressivamente esponenziale della realtà in cui vive, non solo la rende sfuggente e labirintica, ma anche suscettibile di spiegazioni e rappresentazioni altamente mutevoli e impermanenti. Inoltre il decentramento informazionale, la possibilità in fase web avanzata (2.0) di potere ognuno concorrere alla diffusione di informazioni di ogni tipo (attraverso un canale YouTube, un Blog, un Social, la propria pagina sul web aumentando così a dismisura il caos informazionale, ma diventando anche attori e autori dei processi di diffusione delle conoscenze (non importa se vere o false, verificate o no, scientifiche o parascientifiche) determina una forte inclinazione protagonistica, che spinge molti a concorrere attivamente alla diffusione di teorie non verificate, ma che, per contro, sono di forte impatto emotivo e di preciso posizionamento ideologico. Con l’avvento della Rete, chiunque lo desideri può diventare una centrale di disseminazioni di informazioni, può anche allargare molto il proprio raggio di influenza e può, usando qualche sapiente strategia commerciale, lucrare anche in maniera significativa sulle proprie “fake news”. Il concetto di post-verità, cioè la nuova attuale cognizione di “verità” che sembra oggi affermarsi nel vissuto di molte persone ci aiuta a inquadrare meglio la questione: ossia il passaggio da una verità basata su dati, fatti o spiegazioni obiettivi, reali e verificabili a una ipotesi personale, di solito condivisa nei rapporti di elettiva affinità, che però si accompagna a una forte risonanza emozionale. E a livelli di interpretazione e di conferma o del tutto bizzarri e autoreferenziali, o approssimativi e in grado di distorcere la realtà. Un esempio tra tutti, piuttosto attuale: dire che i vaccini contengono cellule di feti umani abortiti, non è esattamente la stessa cosa che affermare, con obiettività che, nella preparazione di alcuni vaccini si utilizzano linee cellulari (procedure di questo tipo sono estremamente diffuse nella ricerca biologica e nelle sue più svariate applicazioni) derivate da tessuti fetali di 50 o 60 anni precedenti. Persino la Chiesa è dovuta scendere in campo per precisare e chiarire che tale procedura non richiama alcuna problematica di natura morale; né alcun rischio biologico, aggiungeremmo noi in quanto molti scienziati, già da tempo, hanno confutato ampiamente le asserzioni relative al fatto che i vaccini indurrebbero un’alterazione del DNA dei tessuti dell’ospite. Così come il “diavolo si nasconde nei dettagli”, allo stesso modo le ipotesi complottiste spesso dilagano e trovano credito per dei particolari relativi all’uso, non raramente in mala fede, di un dato reale utilizzato in maniera distorta o approssimativa, di modo da confezionare una tesi apparentemente credibile e verosimile, ma che non regge ad un approfondimento più rigoroso e sistematico. Naturalmente esiste anche una vocazione complottistica squisitamente soggettiva, che trova le sue radici in una serie di determinanti psicologiche, a cominciare dalle componenti narcisistiche della personalità, che se spiccate, spiegano l’egocentrismo, l’ostinazione, il compiacimento di assumere e diffondere teorie contrarie alle tesi ufficiali o istituzionali, il bisogno di fare proseliti e di trovare così negli altri conferma e approvazione. Non raramente più la personalità è fragile e insicura, più tenta un fittizio sostentamento attraverso la radicalizzazione di opinioni alternative, più o meno credibili. Infine un forte stimolo ad un generalizzato approccio complottistico alla realtà, volto a rileggere tutta la complessiva situazione politico-economico-sociale-sanitaria in chiave fortemente cospirazionista (ad esempio chi, in periodo pandemico, è propenso a sostenere, senza la minima ombra di dubbio, che tutte le misure di profilassi e le politiche vaccinali hanno, in realtà, una finalità ultima di controllo totale sulla popolazione mondiale) può ricollegarsi a spunti di tipo paranoideo, anche al di fuori di un vero e proprio disturbo psicotico. Ma quando la tendenza proiettiva, cioè l’attitudine a interpretare in chiave negativa e inflessibilmente orientata verso una visione rigida e immodificabile di fatti e situazioni, diventa molto intensa, le operazioni mentali che ne derivano e le affermazioni conseguenziali risultano molto prossime al delirio vero e proprio. Infine, non bisogna dimenticare ciò che fornisce molti spunti a questi soggetti: e cioè che i complotti esistono davvero! e che è affidato alla nostra intelligenza, al nostro buon senso, equilibrio e grado di cultura e conoscenza, il compito discernere quelli veri ed esistenti, da quelli verosimili ma poco credibili e, ancora, da quelli chiaramente falsi e del tutto inventati.

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Prof. Daniele La Barbera
Prof. Daniele La Barbera
Professore ordinario di Psichiatria, Direttore U.O.C. di Psichiatria Azienda Policlinico Palermo